La Giarina

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OFF SCREEN

Mostra n.95 ARTISTA: LUISA RAFFAELLI A CURA DI: MAURIZIO SCIACCALUGA PERIODO: 18 MARZO – 20 MAGGIO 2006 Con questo ultimo ciclo di lavori sulle metamorfosi in bianco e nero, che va ad affiancarsi alle opere dedicate ad Alici del terzo millennio perdute nel Paese delle tecnomeraviglie , Luisa Raffaelli comincia ad orchestrare la propria ricerca su due binari diversi, per quanto complementari. Se nel primo continuano l’immersione e la proiezione – discrete certo, ma pure totali – nel futuro, nel secondo l’ispirazione, magari inconscia, viene da più lontano, e precisamente da favole e miti dell’antichità. Un elastico dunque, tirato al massimo tra due estremità molto lontane, dal punto di vista temporale, tra loro. La raffinatezza della mutazione, il gioco sottile del cambiamento psicologico e culturale, tipici degli scrittori dell’antichità, sono in pratica infilati nella camicia di forza della cultura mordi-e-fuggi contemporanea, e il risultato è un affascinante cortocircuito temporale che vede la tradizione schiantarsi nell’attualità e l’attualità contorcersi nella tradizione. E se si considera che, pur risultando perfettamente al passo coi tempi, i pezzi finiscono per essere assolutamente originali e unici – questo grazie a bianchi e neri lividi, trasformazioni antropomorfe e zoomorfe, ambientazioni bucoliche di rado usate nelle formule combinatorie della cultura attuale – si comprende come la ricetta sia perfetta e finita. Il lavoro dell’artista ha il raro merito – unico forse all’interno dello spettro dei maestri del digitale – di recuperare all’immagine tecnologica un pathos letterario, un gusto antico da libro di mitologie, miracoli e metamorfosi. Attraversa, vive e sposa il tempo del tutto-è-possibile, di internet, dell’immaginario globalizzato, ma lo edulcora grazie a un percorso attento nel passato, a un amore forte e deciso per la citazione colta e sottile, per quei fantasmagorici voli pindarici possibili forse solo quando le sollecitazioni erano affidate alle parole e a film senza effetti speciali. La Raffaelli regala alla tecnologia la passione e i palpiti che spesso le mancano, e alle magie elettroniche affianca, spesso, una serie incredibile di ‘affetti speciali’.

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DISEGNITUDINE. LA QUOTIDINIATA’ DELL’UTOPIA

Mostra n.94 TITOLO: DISEGNITUDINE. LA QUOTIDIANITA’ DELL’UTOPIA ARTISTI: ELENA ARZUFFI – MARCO BARRACELLI, CLARA BRASCA, CARMINE CALVANESE – CHIARA CASTAGNA – DAVIDE COLTRO – ARJEN DE LEEUW – DANIELE GIRARDI – ERNESTO JANNINI – DIMITRIS KOZARIS – ADRIANO NARDI, ELENA NEMKOVA, FLAVIANO POGGI, LUISA RAFFAELLI, FRANCESCO TOTARO; nella sezione dedicata agli storici: ENRICO BAJ – CLAUDIO COSTA – KEN FRIEDMAN – MAURICE HENRY A CURA DI: FIAMMETTA STRIGOLI PERIODO: 10 DICEMBRE 2005 – 4 MARZO 2006 Il 10 dicembre 2005 alle ore 18.30 la Galleria La Giarina inaugura, a cura di Fiammetta Strigoli, “Disegnitudine. La quotidianità dell’utopia”, un’ampia rassegna di opere realizzate da artisti contemporanei, appartenenti a generazioni differenti, con l’intento di porre in evidenza diverse declinazioni del disegnare. Il disegno, il segno strutturato, così vicino alla calligrafia alla scrittura, emergendo come medium o come parametro utile a stabilire il senso di una progettazione individuale, di una distinzione caratteriale nella continua necessità dell’uomo di autoidentificarsi, di fissare la propria presenza di sé e di qualunque altro oggetto, propone il suo ruolo di centralità come frutto primitivo di una visione intuitiva, di una splendida concentrazione sorda a qualsiasi “rumore”, dichiarando il desiderio dell’artista di non rinunciare a costruire con leggerezza, di non rinunciare all’utopia. Tuttavia, nell’arte della contemporaneità, il disegno, spesso, non vive la sua realtà soggettiva, ma convive con mondi contigui come la pittura e meno prossimi come la fotografia e la computer grafica. Ogni tratto in un bozzetto, in uno storyboard, nel progetto di una performance, assume valenze che vanno di là dal risultato definitivo, poiché il disegno, quando usato come protogenesi di un’opera, anche nel caso di un’opera fotografica, trattiene l’idea nel suo prender forma, trattiene in sé il sogno impossibile, la memoria di un “esperimento” anche destinato a fallire. L’artista, alieno dal dettato di nozioni quali ordine, limite, separazione, crea mondi, inventa il proprio universo illusorio e fantastico, sognato e idealizzato, lo disegna e lo concretizza: istintivamente le immagini transitano nella coscienza e nella memoria, e attraverso lo strumento del disegno, trasformate da esperienza interiore ad esperienza esteriore – una realtà sconosciuta che affiora dal proprio sé, fisico e spirituale. Il segno strutturato sollecita percezioni visive, sensazioni, insiste sul senso d’alterazione, di spostamento della realtà, è testimonianza di un atto creativo che va oltre il dato reale nell’intento di elaborare universi ulteriori in una sorta di fuga dal tempo, dallo spazio, dalla storia, dal mondo…. Gli artisti di “Disegnitudine. La quotidianità dell’utopia” nella sezione dedicata sia agli emergenti che ai già interpreti della contemporaneità: Elena Arzuffi, Marco Baroncelli, Clara Brasca, Carmine Calvanese, Chiara Castagna, Davide Coltro, Arjen de Leeuw, Daniele Girardi, Ernesto Jannini, Dimitris Kozaris, Adriano Nardi, Elena Nemkova, Flaviano Poggi, Luisa Raffaelli, Francesco Totaro; nella sezione dedicata agli storici: Enrico Baj, Claudio Costa, Ken Friedman, Maurice Henry.

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MEDIUM COLOUR LANDSCAPES

Mostra n.93 ARTISTA: DAVIDE COLTRO A CURA DI: MAURIZIO SCIACCALUGA PERIODO: 01 OTTOBRE – 04 DICEMBRE 2005 Nonostante non sembrino aggressive, nonostante abbiano dominanti affascinanti o tranquillizzanti – ma si tratta di una tranquillità tutta ancora da dimostrare, imposta e costretta dall’alto – le opere di Davide Coltro sono invece pronte a colpire, a stupire, a graffiare. Con la stupefacente semplicità di quei misteri, di quelle sorprese, racchiusi nella quotidianità. Non sono soltanto le immagini future – ancora sconosciute – a tendere trappole a chi ha scelto di acquistare e di guardare al buio i lavori, arrendendosi a priori al Grande controllore Coltro, non sono solo i colori reali cancellati e ricoperti – violentati – dal tono medio a lanciare nell’aria il tono interrogativo di un punto di domanda (dove?); il mistero – alla CSI o alla X-File – è nel silenzio irreale dei panorami, nel vuoto assoluto di rumori in tutti gli orizzonti raffigurati. Il mistero non è in quello che c’è nei lavori, ma in quello che manca: mancano i segni della vita che scorre, manca il frastuono della gioia e del dramma, manca il ritmo dei cuori pulsanti. Queste scene del crimine, questi scenari futuri, questi spot pensati da un grande fratello, questi spaccati da mondi lontani non hanno colonna sonora: scorrono (fisicamente, come mai prima in un’opera d’arte) ma senza fiatare, si susseguono senza avvertire, accelerano senza aumentare di giri. Qualcosa, dunque, non quadra: la vita fa rumore, fa un rumore tremendo e assordante. È il sogno a procedere silenzioso: che qualcuno stia rubando l’immaginazione e gli incubi dell’artista? La galleria La Giarina presenta i nuovi System di Davide Coltro, macchine ribelli a cui non mancano affinità con l’immaginario tecnoapocalittico di Aldous Huxley, di H.G. Wells e di Michel Houellebecq. Nulla, dopo, sarà più lo stesso. Soprattutto i quadri e le fotografie.

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CHROMOCOSMO

Mostra n.92 TITOLO : CHROMOCOSMO ARTISTA: DANIELE GIRARDI A CURA DI: MAURIZIO SCIACCALUGA PERIODO: 21 MAGGIO – 30 LUGLIO 2005 Dal 21 maggio al 30 luglio 2005, la galleria La Giarina presenta l’ultima ricerca di Daniele Girardi, giovane esponente della ricerca italiana più all’avanguardia, sia come tecniche che come temi. Quindici opere che raccontano un lavoro accurato sulla modificazione dell’immagine, alla ricerca dei segreti che si nascondono dietro la più banale apparenza. Del lavoro di Girardi – nato a Verona nel 1977, diviso tra la città natale e Milano – il critico Maurizio Sciaccaluga scrive in catalogo che “interrompe il tempo felice e spensierato dell’infanzia, precipita senza paracadute l’immaginazione adolescenziale in quel mondo crudo e violento, inospitale, che l’uomo ha oramai creato sul pianeta. Nelle mani del giovane eclettico artista pupazzi e giocattoli, animaletti di plastica e gadget per bambini diventano – oltre che lo strumento per una pittura con e senza pennelli, oltre che la materia di un nuovo, assolutamente originale impasto timbrico e formale – il simbolo concreto e tangibile di come l’innocenza sia destinata inevitabilmente a soccombere e scomparire, la dimostrazione inconfutabile dell’inconsistenza d’ogni sogno e ogni speranza… Non esiste una tecnica definita e definibile nel lavoro dell’artista. O meglio, esistono tutte le tecniche, sovrapposte una all’altra, alternate, shakerate, reiterate a dismisura. All’inizio c’è il ready-made, il recupero e la rivisitazione d’oggetti del quotidiano, per creare una strana scultura visionaria, un curioso paesaggio onirico capace di dare del mondo una visione fantasiosa e fiabesca. Poi sopravviene la fotografia, che di questo mondo beato e fittizio capta e cattura solo una minima parte, una frazione, per svelare quale incastro d’incongruenze, astrazioni e confusioni possa celarsi sotto la buccia esile della forma. Scannerizzata, l’immagine fotografica passa, in diverse fasi, sotto i ferri del computer, della pittura, degli acidi di stampa, per subire una serie di operazioni chirurgiche atte a sventrarla, scioglierla, rivoltarla. È come se l’autore volesse tirar fuori le interiora e l’anima di quegli oggetti, mostrarli dal di dentro, raccontarne il Dna”.

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CALENDAR SHOW

Mostra n.91 TITOLO MOSTRA: CALENDAR SHOW ARTISTI: PABLO ATCHUGARRY- MAURIZIO BIONDI- CARMINE CALVANESE- ENRICO CAZZANIGA -DAVIDE COLTRO- DANIELE GIRARDI -ERNESTO JANNINI- ADRIANO NARDI -MARIO PASCHETTA- LUISA RAFFAELLI- MAURO SOGGIU -SILVANO TESSAROLLO -FRANCESCO TOTARO A CURA DI: CRISTINA MORATO e LUIGI RIGAMONTI PERIODO: 16 APRILE -16 MAGGIO 2005 La mostra “CALENDAR SHOW” che inaugura sabato 16 aprile 2005 alle 18.30 presso la galleria LA GIARINA ARTE CONTEMPORANEA, nasce dall’idea del collezionista Luigi Rigamonti e di Cristina Morato art director della galleria, di realizzare per il 2005 un calendario con le immagini di opere di alcuni artisti della gallleria e della collezione Rigamonti.

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IL GRANDE FARDELLO

Mostra n.90 TITOLO: IL GRANDE FARDELLO ARTISTA: ERNESTO JANNINI A CURA DI: EDOARDO DI MAURO PERIODO: 12 FEBBRAIO – 31 MARZO 2005 Si inaugura sabato 12 febbraio 2005 alle 18.30 presso la galleria La Giarina ArteContemporanea di Verona la mostra personale di Ernesto Jannini, Il GrandeFardello, curata da Edoardo Di Mauro. Per la galleria si tratta di un interessante ritorno, avendo l’artista esposto in una rassegna collettiva nel 1996 e nel 2001 e con una personale nel 1997. La mostra cade ad un anno di distanza dalla interessantissima Antologica che l’artista ha tenuto alla Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate (il video-documentario e il catalogo di questa Antologica saranno disponibili in galleria). In questa esposizione sarà possibile ammirare alcune opere i cui nuclei interni sono costituiti da una sottile e forte ironia nei confronti della realtà sociale, come quegli strati di cultura mediatica che approdano ai reality show; oppure contemplare le accattivanti immagini della Frutta, delle Caffettiere, delle Pentole, il cui interno è occupato da un reticolo sempre più sottile e invasivo di microcircuiti; o installazioni molto interessanti come “Le dejeuner sur l’herbe”: una lunga enigmatica passerella di microcircuiti illuminati e ispirata al celebre quadro di Manet. Una vera e propria costellazione di immagini venuta alla luce da una profonda dimensione formale e concettuale. Come scrive Edoardo Di Mauro nel testo del cd di presentazione della mostra: “… la fervida creatività di Jannini sta conoscendo una fase particolarmente feconda e ricca di soddisfazioni personali, il cui punto di eccellenza, da un punto di vista del riconoscimento istituzionale, è stato rappresentato dall’Antologica svoltasi nel febbraio 2004, presso la Galleria d’Arte Moderna di Gallarate. I lavori più recenti di Jannini sono quasi tutti centrati sulla dialettica natura/cultura, installazioni a parete dalle tinte vive squillanti dove limoni, mele e altri elementi familiari provenienti dal mondo vegetale sono posti su supporti estroflessi e mostrano da lievi fenditure, poste alla loro sommità, l’inquietante presenza di circuiti di microchips. Di particolare rilievo “Gran Mercato”, una scultura parietale dove una cesta di pomodori “contaminati” armonicamente dall’invadenza tecnologica, si presenta gelosamente custodita e protetta da una teca di plexiglas, a donarle un tocco di soave sacralità, un’opera il cui rilievo formale e il senso di sintesi espressiva sono degni di figurare accanto alle prove migliori dell’oggettualismo concettuale americano venuto alla luce negli anni ‘80, quello di Steinbach, Koons e Bickerton, per intenderci, con l’aggiunta dello scarto linguistico fornito da un’ironia tutta mediterranea. Ironia che contraddistingue una delle ultime opere di Jannini… Il titolo dell’imponente installazione è “Il Grande Fardello” e il suo fine ultimo, per ammissione dell’artista, è quello di parodiare con ludica e soffice ferocia, il mondo marcescente dei reality show, emblema della banalità che pervade il nostro universo antropologico…”

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I DOPPI E I FLUIDI

Mostra n.89 TITOLO MOSTRA: DOPPI E I FLUIDI ARTISTA: FRANCESCO TOTARO PERIODO: 4 DICEMBRE 2004 – 5 FEBBRAIO 2005 La situazione in cui si inscrive la riflessione pittorico-digitale di Francesco Totaro, nella mostra che si inaugura il 4 dicembre a Verona, è quella da cui sono uscite, negli ultimi anni, le novità più significative del dibattito sull’immagine. Totaro – preso da una rimozione negativa nei confronti dell’appiattimento totale in cui versa la ricerca sull’immagine digitale e soprattutto irritato dalla facilità con cui gli esecutori di banali programmi raggiungono il plesso dell’icona – ha sviluppato una pratica gestuale che, relazionandosi con la tecnica dei fluidi, dei teatrini delle finestre scoperte dell’immagine e dei ritratti, cerca di aprire una dimensione diversa nella costruzione della superficie, consegnandoci i tratti più reconditi della sensazione e della visione. Cosa cerca, effettivamente, l’interrogazione di Totaro? Mediante un’accettazione scettica del programma digitale e una messa in discussione della totalità numerica dell’immagine, Totaro cerca di attraversare la digitalità con un gesto pittorico soggettivo. Una sorta di ribellione alle potenzialità diagrammatiche della macchina, le quali ormai – tramite una massificazione a tappeto del tessuto sociale delle arti visive – ripropongono in chiave postmoderna quelli che sono i postulati o le costrizioni da infrangere, nell’appiattimento del sistema binario “0-1”. Le opere si pongono, in questo modo, attraverso un sistema di rappresentazione e di de-rappresentazione: la fotografia ritrae i volti con una sorta di zoomata che ingrandisce i dettagli della figura e poi li stempera; il soggetto viene quindi fissato nell’atto del suo muoversi; poi intervengono gli elementi de-figurativi, che tendono a de-comporre l’azione, consegnandoci il doppio del ritratto, qualcosa che si modifica con l’azione umana e invita lo spettatore dentro l’immagine. A partire da qui, i doppi tecnici sono amplificati: da una parte si vedono gli acrilici e gli smalti su tela e dall’altra le stampe digitali su forex. L’accoppiamento tecnico si è così moltiplicato: i ritratti (de-tratti), i teatrini (de-teatralizzati) e i fluidi agiti nell’eccesso e nella tensione astratta si mimetizzano, lasciando davanti ai nostri occhi la sorpresa informale del processo, del procedimento, dell’azione che aspetta di collegarsi senza interruzione a qualcos’altro. Una de-formazione (o de-formattazione) del corpo infinita!

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ADRIANO NARDI

MOSTRA n.88 ARTISTA: ADRIANO NARDI A CURA DI: GABRIELE PERRETTA PERIODO: 9 OTTOBRE – 27 NOVEMBRE 2004 L’immagine contemporanea è fatta di un sapere componibile e scomponibile, che risente delle mille contaminazioni quotidianamente prodotte e subite. Essa nella sua molteplicità risponde ad un dilagante bisogno di presenza e diffusione, distribuzione, relazione, metamorfosi, mutazione, collegamento e quante altre diavolerie si nascondono nell’universo mediale. In una sola parola, mai più di adesso l’immagine è corpo e mente. L’immagine contemporanea si offre al fruitore come un sovra-genere, agile, economico, icastico e fors’anche ridondante, eccessivo e parossico, ma facilmente accessibile, perché curata da super-design che sono entrati in grande concorrenza con gli artisti. Partendo da questo contesto la Galleria d’Arte Contemporanea La Giarina presenta una personale di Adriano Nardi dove si raccolgono circa 9 opere realizzate negli ultimi anni e 4 opere nuove fatte per questa occasione. Il lavoro di Nardi riporta una commistione metalinguistica tra le tecniche digitali di rappresentazione e la pittura ad olio: riflette come il centro su cui si rispecchiano gli estremi di una bellezza visionaria e concettuale. Corpi seducenti e colori catodici, femminilità geometriche e una sottile oggettualità per dire: “sostanzialmente la Pittura è organica e questa sua verità sta già nel semplice gesto ecologico della tecnica manuale (e dei suoi materiali)”. Nardi, negli ultimi quadri ad olio su tela, tende a purificare il suo sguardo, suggerendo che “rappresentare la Pittura è forse possibile se la consideriamo come il ready-made definitivo. Se la donna dei miei quadri incarna una iconografia metalinguistica essa è la Pittura”. Quindi, sostanzialmente e concettualmente, qui si dipingerebbe la Pittura ed essa, per giungere a questo eccesso, adotta traboccanti tattiche che spesso si rivelano “Fatali” come le donne che appaiono tutte in un’abbondanza da “…Prima di Copertina…”: si rende disponibile ad essere fortemente attraversata e suggestionata da mille tecniche, da mille generi, da numerose archeologie e numerose strategie….

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I NEOCONTEMPORANEI

TITOLO MOSTRA: I NEOCONTEMPORANEI ARTISTI: WALTER BORTOLOSSI- CARMINE CALVANESE- GUIDO CASTAGNOLI -DAVIDE COLTRO DANIELE GIRARDI- LEONARDO PIVI -SILVANO TESSAROLLO- FRANCESCO TOTARO A CURA DI: EDOARDO DI MAURO PERIODO: 8 MAGGIO – 31 LUGLIO 2004 Dopo la data emblematica del 1968, non a caso corrispondente ai moti sociali e giovanili di piazza che caratterizzarono l’intero Occidente ed alla smaterializzazione dell’arte con le varie correnti concettuali che, peraltro, ricercavano momenti di collegamento con la ribellione politica e di costume del periodo, inizia l’accelerato ingresso in una nuova dimensione produttiva e relazionale caratterizzata dall’invasività tecnologica. Ciò ha causato il graduale ma inevitabile tramonto dell’industria tradizionalmente intesa, la perdita delle antiche certezze occupazionali, l’introduzionedel concetto di “flessibilità” con il quale dovranno confrontarsi soprattutto le più giovani generazioni, dai trent’anni in giù, ma anche un minor livello di alienazione produttiva, che significa maggior spazio alla fantasia ed alla creatività, e l’ espansione del tempo libero a disposizione di ognuno, da cui deriva la possibilità di dare spazio ai propri interessi culturali. Tutto ciò è stato vissuto nei trent’anni successivi, analizzando sociologicamente gli stati d’animo diffusi, con un misto di angoscioso sconcerto e febbrile euforia. Da un lato quindi un senso di smarrimento per la perdita dei tradizionali punti di riferimento, dopo il crollo del Muro di Berlino anche ideologici, dall’altro una sorta di eccitazione per il mondo luccicante della tecnologia, per la realtà virtuale, per quel predominio ormai definitivo dell’immagine sul “logos” che ha confermato la lungimiranza inascoltata di Guy Debord nel predicare, in tempi ancora non sospetti, l’avvento della “società dello spettacolo”. Tutto ciò non ha mancato di generare effetti nel mondo dell’arte. Come in tutte le stagioni di passaggio, naturalmente con modalità mai eguali a sé stesse, l’effetto corrispondente a queste profonde, traumatiche mutazioni del tessuto sociale, è stata, su di un piano generale accentuato in Italia da problemi relativi al nostro sistema dell’arte su cui nella circostanza non mi soffermo, l’ ho fatto in varie altre occasioni, per l’appunto questa babele di stili e tendenze in cui è stato arduo, ed in parte impossibile, ritrovare un filo conduttore, specie negli anni ’90, dove il tutto si è manifestato all’ennesima potenza. La post modernità, intesa non nella sua accezione etimologica ma in quella propria del linguaggio d’uso comune dove assume la funzione vagamente spregiativa di atteggiamento tendenzialmente effimero è anch’essa approdata alla sue estreme conseguenze e quindi, a questo punto, deve inevitabilmente manifestarsi qualcosa di nuovo. Quindi potrebbe essere opportuno iniziare a discutere di una possibile “nuova contemporaneità” Naturalmente siamo agli inizi di questaennesima mutazione delle pelle dell’arte ed anche i punti di vista sono spesso diversi, talora antitetici e ricordano l’antica dicotomia di Umberto Eco, agli inizi degli anni ’60, tra “apocalittici” ed “integrati”.

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